A cura di Rudi Fuchs, Johannes Gachnang, Francesco Poli
Nel XX secolo la scultura ha attraversato, come le altre discipline artistiche tradizionali, profonde revisioni, fino a essere messa in discussione nel suo statuto “specifico”. Questa perdita di identità si è tradotta in una graduale espansione del suo campo d’azione, in una costante integrazione
del suo linguaggio espressivo e in una progressiva sedimentazione di soluzioni formali e di senso contrastate. La riscoperta delle potenzialità insite nei materiali stessi e nelle forme basilari propria dell’Arte Concettuale degli anni Sessanta e Settanta ha preluso, senza soluzione di continuità
ma anche senza drammatiche fratture, alla riappropriazione, da parte degli artisti della generazione successiva, della scultura in quanto disciplina storicamente connotata e a un rinnovato approfondimento dei suoi caratteri più tradizionali.
Attraverso la presentazione del lavoro di scultori appartenenti a generazioni differenti, la mostra illustra la complessa stratificazione della scultura contemporanea attraverso queste molteplici e profonde modificazioni, assumendo come punto di vista, di cui esplora l’efficacia sensibile
e conoscitiva, quello della scultura stante all’interno di uno spazio architettonico. Una scultura “stante” intrattiene una relazione con lo spazio ambientale che si manifesta innanzi tutto come presenza nello spazio, come occupazione e rilievo dello spazio, di cui definisce indirettamente le
coordinate, permettendo cioè un’esperienza dello spazio a partire da principi propriamente scultorei come orizzontalità, verticalità, profondità, lateralità, elaborati però in differenti associazioni di struttura e di composizione.
Le sagome cubiche di Sol LeWitt, che suddividono lo spazio fisico sovrapponendogli una più generale composizione matematica e logica, manifestano una preoccupazione a trascendere il mero dato fisico analoga a quella dei blocchi di pietra cosparsi di olio di Joseph Beuys, mentre gli ammassi di lamiere metalliche di John Chamberlain assumono un’espressività biologica e vitale riscontrabile nella forza silenziosa che anima e percorre i soffi di foglie di Giuseppe Penone o in quella rigorosamente funzionale che sorregge le lastre metalliche di Richard Serra e che conferisce
unità e stabilità alle micro-architetture di Eduardo Chillida.
Andrea Viliani